Oggi è il 18 luglio, sono da 18 giorni in cammino, mi sento in pace con il mondo e provo una serenità che non ho mai avvertito. Le prime settimane sono state di assestamento, di adattamento: ero presa dalle distanze, dalle tappe, dai dolori, dai molteplici e piacevolissimi incontri. Ora sto scrivendo mentre cammino perché voglio fissare le emozioni che sto provando. Questa è un’ altra tappa di saluti e addii o arrivederci. Tra poco incontrerò un bivio: da una parte il cammino del Norte procede per Gijon, dall’altra si va verso Oviedo e il primitivo. Sono arrivata a Villaviziosa con Alfio, il ragazzo italiano e abbiamo bevuto un caffè e mangiato una fetta di torta ai mirtilli insieme. Lui ora prenderà il pullman e salterà due tappe per mancanza di tempo. Io proseguo per Gijon da sola. Ho salutato anche Samuel il ragazzo malesiano che prosegue per Oviedo. Mi sento serena e godo di tutto quello che vedo, sto attenta ai particolari, alle tracce del cammino, non mi aspetto nulla,sto con quello che c’è, un mantra che il cammino sta consolidando. Mi fermo in un piccolo bar, prima della salita e dell’ ingresso nel bosco, ci sono due pellegrini che non ho mai visto e molti anziani del paese. Ovviamente chiedo il cortado ma anche il mosto, succo d’uva analcolico con il ghiaccio, ottima bevanda che mi hanno fatto conoscere gli amici spagnoli. A tratti mi viene in mente la serenità che ho avvertito nell’ ostello di Sergio. Sergio è un ragazzo che ha la mia età, crede molto nel cammino, ha diversi simboli del cammino tatuati e ti incita ad andare avanti e a trovare il bello di ogni tappa anche quelle sulla caretera a bordo dell’acciaieria. Ha un’ empatica attenzione ad ogni persona e tutto in lui trasmette una profonda serenità. Ieri sera ha preparato una pajella di verdure strepitosa, che abbiamo gustato bevendo del vino rosso. Un pellegrino inglese aveva molto male ad una gamba, ognuno di noi gli ha passato creme e vari rimedi e Sergio gli ha detto che poteva fermarsi lì per un po’ di giorni. Abbiamo parlato un po’ ci siamo conosciuti e come sempre la magia di voci perfettamente estranee che in poco tempo attorno al tavolo iniziano a parlare una lingua comune fatta di sorrisi gesti semplici e attenzione alle esigenze dell’ altro. Sergio dice che i pellegrini sono pecore nere, vanno controcorrente ma in questo andare basta poco per riconoscersi anche se non si parla la stessa lingua. Pecore nere che si sentono un po’ irrequiete, che hanno bisogno di camminare per quietarsi di ritrovare la gioia degli incontri inaspettati, di affidarsi alla strada e all’ ignoto e al cuore degli altri.